11/20/2007

Autori

NOTA BENE: L'INTERO BLOG VA LETTO COME FOSSE UN LIBRO, DA QUI SCENDENDO IN BASSO, E CONTINUANDO CLICCANDO SUI "Post più vecchi".

una storia di
andrea battantier e daniele scatolini
S.I.A.E. 2007


Andrea Battantier
Phd. in Psicologia Sociale
Sceneggiatore e filmaker (Urbino, votazione 100/100).
Primo premio Sacher Festival di N. Moretti (ed. 2003)
Primo premio festival di Bra (ed. 2002)

Daniele Scatolini, Ingegnere Meccanico - La Sapienza, voto 110/110 - 2005,
Tesi Analisi Sperimentale su Grande Progetto Solare Termodinamico Collettori Solari lineari Parabolici - Enea Casaccia (Rm)
Dottorando in Energetica, Dip. di Meccanica e Aeronautica - La Sapienza
Attività di Ricerca:
-convertitori catalitici per autotrazione
-modelli dinamici di traffico automobilistico
-elaborazione statistiche incidenti stradali su base locale/temporale. Volontario Protezione Civile

Dedica

Agli animaletti del bosco che hanno perso la vita attraversando la strada

a ermanno e carlo, genitori prudenti

a roberto fosco amadio
Il fenomeno è sempre valido

Timone ( frammento, circa 240 a.c.)

L’autonomia: ricerca sull’adolescenza inquieta (ad uso dei genitori)


Le crisi di crescita portano alla ricerca di autonomia. La parte migliore deve ancora uscire allo scoperto ma, tempo qualche anno, li vedremo sotto una nuova luce questi ragazzi. La raccolta delle informazioni procede spedita (dalla nascita non si è mai interrotta) ma si attende da un momento all’altro il singolo episodio in grado di fare esplodere una volta per tutte le informazioni accumulate.
Il “processo formativo”, parliamoci chiaro, è una rottura di cazzi, un’espressione che l’adolescente non vuole sentire, né tanto meno intende sentire la vostra voce di adulti cresciuti anzitempo.
Fatelo correre, più con le sue gambe che con la vostra fantasia; la fantasia viene correndo. Non misurate il passo della corsa, fingete di leggere il giornale, parlate tra di voi, fategli trovare il passo suo. Ogni adolescente che si rispetti controlla lo spazio con indolenza, trasandume, scioltezza disarticolata. L’adolescente non conosce ancora il proprio potere ma non si riconosce nel vostro.
Come ricostruire un rapporto compromesso? Non con il confronto. La pedagogia del confronto è morta. Una struttura fragile non ne esce bene da un confronto con un monolite. Perché voi siete pietre, sassi da lanciare in acqua e fare affondare. Non dimenticate: siete pesanti, non siete migliori, siete solo più vecchi. Vivete sì, ma non basta per rompere il cazzo a chi della vita ha una vaga idea.
Cambieranno, con certezza non so quando: alcuni sono veloci, altri hanno tempi lenti, alcuni realizzeranno sogni, altri resteranno infelici. Sono come voi gli adolescenti; ma ancora non lo sanno. Voi che lo sapete, soffrite con loro, ma non datelo a vedere. Non picchiateli ma, in campana, non fatevi neanche ammazzare: questi bastardi vanno giù pesante.

L’ultima curva


NOTA:
Chi ha problemi di comprensione tecnica può leggere il riassunto alla fine del paragrafo.

fabrizio richiedeva una curva con uno sfondo ai bordi strada, tale che non si intuisse il reale andamento della via. La strada era poco trafficata, non aveva banchina, ed era costeggiata da un fosso profondo 8 metri. Per meglio illudere il viaggiatore che la carreggiata proseguisse dritta dove c’era la curva, i ragazzi coprivano le strisce bianche con una posticcia nera come l’asfalto, per tutto il tratto in curva della strada. Poi dovevano posare in terra altre strisce bianche in modo da proseguire il rettilineo in mezzo al campo e fino al bordo del fosso; ed ancora in verticale sui rovi, con tratti triangolari simulanti l’effetto di prospettiva che davano l’idea che il rettilineo fosse ancora molto, ma molto lungo. Considerò che un guidatore medio, un po’ assonnato e preso dall'invogliante saliscendi della strada avrebbe raggiunto in quel rettilineo non meno di 70 km/h, imboccando la curva diritto senza vederla. Se avesse visto il cartello “curva pericolosa” e non avesse superato i 50km/h ce l’avrebbe fatta. Altrimenti avrebbe perso qualche km/h in un disperato tentativo di frenata sull’erba viscida tra strada e fosso ma avrebbe riacquistato circa 15 km/h precipitando e impattando dunque a circa 80 km/h sul fondo asciutto e duro del fosso. Morte sicura o minimo coma irreversibile.

La vittima infatti morì. Dispiacque a fabrizio che si fosse accartocciata in una fiat ultimo modello, con soluzioni tecnologiche che il futuro ingegnere ammirava molto, tra le quali airbag dappertutto, airbag che tuttavia fecero una sega alla decelerazione d’urto che questa calcolata malvagità aveva prodotto al corpo del distratto automobilista. Ma che cazzo ci faceva a quest’ora in questa cazzo di strada, questo stronzo di uomo? Aveva messo le corna alla moglie (come il padre di germano faceva vantandosene con il figlio)? Attività losche? Ma forse, dalla divisa, si sarebbe potuto trattare di una guardia notturna, una guardia solo apparentemente ligia, poiché, se era caduta nella trappola, probabilmente non era stata abbastanza attenta e, dunque, avrebbe potuto, in un’altra situazione, investire qualcuno sulle strade. Altro che guardia, un possibile pirata della strada in meno, regà! Annamo regà, annamo!!

RIASSUNTO:
guidate con prudenza!

tanucci


Siamo tutti morti. Cambia solo che alcuni non lo sanno. Passano gli anni in una gabbia di merda che si chiama vita. Siamo morti in un giorno qualunque che ancora non lo so quando è successo.
Non siamo sicuri di niente ma abbiamo creato delle regole certe. Non decidiamo noi ma le regole. Sono germano e martino che le fanno rispettare. E’ fabrizio che cerca di farne passare delle altre, secondo lui più efficaci. Il nullo non conta. Io ancora non lo so. Ma sto bene con questi qui. Il mio nuovo mondo, per intanto.
Dopo tre anni di vuoto ho capito che il vuoto si può almeno tentare di controllare. Bisogna incoraggiare le prese di decisione contro il non senso che logora senza che ce ne accorgiamo. Il mio destino ha voluto che incontrassi luc, la banda dell’ultima curva. Era un venerdì sera. Meno male che non sono andato in discoteca.
Ho vissuto a Parigi, Columbus, Toronto, ma solo in questo paesino a 30 km da Roma sto iniziando a cambiare. Mi guardo con un occhio gelido, ma dentro sono caldo. Questa banda è diventata un vizio.
In generale posso dire che mi hanno portato i miei qui in paese. L’iniziativa è partita da mio padre, che poteva scegliere città in Europa, ma mia madre voleva il verde e la campagna. Io la penso esattamente così. Preferisco stare in campagna piuttosto che in città. Mi hanno detto che avrei potuto studiare in qualche istituto, tre volte alla settimana. Io ho detto “va bene, voglio la maturità!”. Per lavorare in ambasciata occorre la laurea, per dare il via ad una vera e propria carriera diplomatica. Questa prospettiva è la mia, era, non so. Scrivo male! Non me ne frega! Ho 4 in italiano.
Ho continuato a prendere il treno, il giovedì avevo italiano, tre ore, i compiti li facevo lungo il tragitto. Non ho mai contestato un voto, a differenza di altri somari. Non devo rassicurare nessuno, io. Vado male, i miei lo sanno, non ho senso di responsabilità. Faccio errori di concentrazione, errori che alle volte mi hanno fatto perdere il rispetto della classe, mentre qualcuno mi giudica strano, e il fatto di non avere amici veri non è strano. Non posso ottenere amici invitandoli a provare il biliardo da me, oppure in piscina che poi è sempre occupata da mia madre e amiche bone mignotte rifatte.

nullo



Non si può pensare che la gente capisca al volo. fabrizio alle volte è troppo ottimista, lui pensa che gli altri usino la logica, ma la gente va in automatico, pensa alle vacanze e alle partite in tv. Ma la partita gliela diamo noi. Noi organizziamo delle partite bellissime per i distratti e i prepotenti che incontriamo.

martino. (Che non si dica che martino non scrive)


Io la porta non la chiudo in faccia a nessuno però è sulle cazzate che divento una bestia. Io non sono diverso da come mi vedono. Parlo poco e mi piace sentire le ossa sfragnersi, ma solo se c’è motivo! Non massacro così per farlo. Vittime sulla coscienza non ne ho. Ma qualcuno prima o poi passa i guai con i miei momenti brutti. L’ingegnere è bravo a parlare, dice una cosa ed è quella; germano pure è bravo, alle volte mi incastra e mi convince. Ma è capitato pure l’opposto. Non mi ha convinto e l’ho picchiato. Ma è successo una o due volte. E’ una regola nostra, una specie di giustizia interna. Noi crediamo alla giustizia, ci rifiutiamo di agire se non crediamo giusto. Non accettiamo suggerimenti, ormai la banda si è data le regole, non possiamo aprirci troppo, è questa la nostra forza. Abbiamo regole che possono essere modificate ma bisogna essere capaci di convincere. L’importante è rimanere sempre nella banda, sostenerla sempre.

germano


Nessuno ci darà quello che potremo prenderci da soli. Fino ad un massimo consentito ad essere umano. Siamo limitati, ma razionali. Da soli sbagliamo, ma luc potrebbe limitare i danni. Ciascuno le sue competenze, con un confronto costante in grado di spingerci sempre più in alto. Valutare i rischi, provare senza errori, criminali con coscienza accentuata. Arrivare dove? Condividiamo il controllo del dolore, la valutazione di un mondo che abbiamo deciso di capire totalmente, ma un poco alla volta. Torturatori di mondo! Questo siamo. Un poco alla volta. Rifiutiamo di spiegare agli altri. Ma noi dobbiamo spiegarci. E tutto diventa più facile.

Il carattere

germano era decisamente più basso di martino ma decisamente più alto degli altri tre della banda. Non era muscoloso ma aveva quella corporatura grossa e compatta di chi, ad un metro ed ottantacinque, può pesare 110 chili senza avere un filo di grasso. Se martino era una pantera gigante, lui poteva essere un toro da monta. In un film di gladiatori romani lui sarebbe stato l’eroe protagonista vincente, martino il terribile nemico gigante infine battuto nell’arena. Con bacio finale alla fighissima e bonissima regina rubata all’imperatore cattivo (fabrizio) sgozzato.



fabrizio, profondo e sensibile, ammirava come germano riuscisse, senza particolari doti intellettuali, a carpire i chiavistelli mentali delle persone e a fare leva su questi per essere rispettato, temuto, obbedito.

nullo. Che vogliamo dire di nullo? Intorno all’età della pubertà, quando si iniziano a formare le comitive, si trovò, senza fare nulla, in una di queste. Non era un personaggio talmente insignificante da essere notato almeno per questo, ma era il perfetto nullo, cioè, non completamente, ma dotato di quel tanto di normalità grazie alla quale poteva non essere percepito come un bizzarro (dunque visibile) decerebrato.



nullo aveva un corpo lungo e magro, sgraziato, privato nel tempo di qualunque attività fisica che avrebbe contribuito a sviluppare armoniosamente la sua struttura. nullo aveva per gambe due pali, due piccoli pali secchi (germano diceva che aveva le gambe simili ad un capretto), e le spalle erano pressoché inesistenti: l’alzare un motorino caduto poteva creargli più d’una difficoltà.



Un giorno, in una di quelle riunioni a sfondo erotico tra pischelli, tipo condivisione di materiale VM 18, nullo conobbe fabrizio, che fu il primo a sfuggire l’inganno della quasi-nullità di nullo, soprannominandolo però ugualmente ‘o nullo. nullo non tradì mai fabrizio, la sua inettitudine era solida come pietra; fabrizio lo ritenne sempre intelligente a suo solo uso e costume. nullo era era uno di quei matti ai quali si affidano compiti semplicissimi ma che richiedono affidabilità assoluta, quanto bastava per diventare la mente destra di fabrizio, che lo avrebbe infatti poi voluto nella banda. La capacità di fare a testa bassa tutto ciò che gli veniva comandato gli valse -ma solo dentro la banda- la promozione da ‘o nullo a ‘o mullo, nel senso proprio del mulo. Una vera gratifica per lui. fabrizio lo sapeva e opportunamente dosava i soprannomi: quando c’era da fare qualcosa e gli si rivolgeva per la prima volta lo chiamava nullo, poi, quando ciò che serviva era stato fatto, nullo veniva sostituito con mullo. E mullo dentro era contento.

tanucci aveva un viso amabile pulito e capelli biondi ricci; il corpo, che sarebbe stato flaccido nel giro di qualche anno, dava al momento l’idea di essere solo piacevolmente rilassato. Il ragazzo sentiva dentro forti pulsioni a fare, un desiderio di essere, e ancor più di segnalarlo; avrebbe fatto molto per cavarsela in questo mondo, ma non di tutto. In buona salute, ma affaticato mentalmente si impegnava, fin da piccolo era stato abituato troppo agli apprezzamenti. Voleva riuscire ma le sue connessioni cerebrali non erano all’altezza di trasformare le pulsioni in operatività, in strutture concrete e concretizzabili di idee; i suoi slanci si diluivano nel corso dei pensieri, perdendo vigore fino a che le pulsioni di rinuncia eguagliavano quelle creative, per poi sopraffarle al traguardo finale di ogni manifestazione importante di vita. Aveva abbastanza intelligenza per capire di essere un pelo meno intelligente di quanto necessario per giungere al successo. tanucci soffriva ed odiava se stesso.



Non riusciva ad essere aggressivo, gli slanci di rabbia, odio, morte, vendicatività, si smorzavano prima di ferire gli altri e, alla notte, gli ultimi barlumi di questa aggressività morente si spegnevano irrimediabilmente e comunque contro di lui. Era una bomba inesplosa perché senza detonatore. Per esplodere avrebbe avuto bisogno di un detonatore esterno e di qualcuno che lo azionasse.

martino, che invece era una bomba potentissima, con un detonatore ben funzionante, non aveva la facoltà di azionarlo da solo. Aveva una moralità da onesto contadino e, se incitato da chi ritenuto “signore”, colto, autorità, avrebbe potuto compiere, con la sua forza fisica e il suo slancio passionale, qualunque cosa (di lui ricordo anche una testa enorme, davvero grande). Suo nonno, classe 1898, era alto un metro e novanta ed era morto ai mondiali di Italia 90 esultando troppo al sesto goal di Schillaci. Il suo cuore aveva fatto abbastanza con due guerre mondiali pulsate da bersagliere. Suo padre, classe 1945 sfiorava con la testa gli stipiti delle porte ancora vuote delle case che costruiva. Quando martino aveva 14 anni era solo un po’ altino e magro (1.75 per 60 kg), ed il padre lo mandò a fare nuoto e karate al Coni di Roma (i carpentieri guadagnano un botto) per farlo irrobustire un po’. E poi un ragazzo di paese deve svegliarsi in città. Fatto sta che a 17 anni martino aveva già superato i due metri e i tre mesi d’estate li faceva in cantiere con il padre, alzando due sacche di cemento insieme, una per braccio (fanno 50 kg l’una). Altro che nuoto. Il papà, che non voleva che il figlio crescesse grande grosso e fregnone, dai tempi dell’asilo gli faceva un giochino: “mo te pio a schiaffi, uno a destra uno a sinistra, comincio piano e poi aumento finché nun me dici basta”. A quindici anni martino smise di dire basta a suo padre, nonostante le sue mani enormi, indurite da decenni di calce e tavole spezzate sulle ginocchia, tentassero di staccare la testona quadrata coi ricci neri di martino. Si volevano tanto bene.



fabrizio il roscio, invece, era agile ma non forte. I suoi studi di ingegneria lo avevano portato a capire il senso delle cose, in ogni quotidianità che viveva. Tutto per lui aveva una spiegazione logica, dunque il suo agire proveniva -anche per le cose più superficiali- da un ragionamento completo. Per questo era refrattario all’autorità, intesa come coercizione non motivata da teoremi, teoremi che invece lui forniva lasciando, stupefatti, gli interlocutori brillanti e, perplessi, quelli mediocri. fabrizio mangiava a bocca piena perché la maggiore pressione del bolo alimentare sulle papille offriva maggiori sensazioni gustative; assumeva smorfie strane e diverse se beveva succo d’ananas o pepsi, in quanto liquidi di diversa acidità e dolcezza venivano opportunamente incanalati verso gli appropriati settori della lingua. Era un salutista puro, basti ricordare che, dopo aver bevuto spremuta d’arancia, evitava di ruttare per almeno due ore: per non rischiare di espellere preziosa, ma volatile, vitamina C.
Insomma, ognuna delle piccole azioni della vita di tutti i giorni seguiva per lui una particolare procedura che, se dall’esterno poteva sembrare inutile, dispendiosa o quantomeno bizzarra, in reltà aveva dimostrato essere il modo giusto a chiunque l’avesse criticata o stoltamente derisa. A lui non costava nessuna fatica, né un tempo più lungo, seguire queste sue esatte procedure di vita. fabrizio non permetteva a nessuno di guidarlo ed ammirava grandemente i pochi che raramente riuscivano, al più, a correggerlo. In apparenza non amava essere lui a guidare gli altri, desiderando in cuor suo che tutti scoprissero ed applicassero autonomamente le verità che egli aveva conquistato; ma troppo spesso percepiva il livello inferiore degli altri. Dunque, in qualche modo, si sviluppava in lui un desiderio profetico di guidare, instradare, illuminare le persone intorno a sé. Per far ciò la sua sensibilità lo conduceva a sedurre e a governare indirettamente, senza forza diretta, quelli che lo circondavano. Da bambino soffriva l’analisi che faceva di sé e di suo fratello Filippo, riconoscendo, infatti, i limiti logici ed intellettuali di quest’ultimo. Ma vedeva in lui una immensa superiorità spirituale, una purezza morale ed interiore alla quale solo un santo può avvicinarsi e, benché fosse contraddistinto da una purezza ingenua, non acuta, era pur sempre una virtù che fabrizio sapeva di non poter mai raggiungere. Quando suo fratello morì, fabrizio semplicemente accettò di essere un impuro tra gli impuri, ma il più intelligente, che avrebbe perseguito nella vita l’obiettivo di eliminare tutti gli impuri meno intelligenti che avevano macchiato -o avrebbero potuto macchiare- di sangue il candore ingenuo del fratello. fabrizio temeva di impazzire, sapeva che la banda non era un modo ottimale di raggiungere il suo scopo. Ma forse non c’era un modo ottimale, o forse non aveva uno scopo. Bloccava con una palata di fango i suoi pensieri quando imboccavano questo sentiero e, se poi riemergevano, li sotterrrava nuovamente, in una costante lotta contro il suo nemico interiore, il niente. Tutto quello che cercava di fare, di creare, di organizzare, era qualcosa che teneva lontano il niente. Il niente aleggiava minaccioso ogni qualvolta un’azione della banda si era appena conclusa, un senso che lui seppelliva sotto nuovi pensieri e nuove idee. La banda aveva dunque una mente attivissima, e pericolosa. Gli altri non desideravano di meglio, ognuno era legato più che a sangue a fabrizio, erano schiavi dei suoi voli, era troppo facile e bello avere una guida che dimostrasse loro la necessità di realizzare le più sensuali perversioni che covavano dentro. L’integrazione simbiotica di ruoli perfetti, la banda del luc. Ma bisogna andare con ordine, perché chi comanda nella banda non è certo l’ingegnere.